HO FATTO UN SOGNO: ERO FELICE, MENTRE ANDAVO A SCUOLA …

Ho fatto un sogno: ero felice, cartella in spalla, mentre, costeggiando un viale alberato, imboccavo la stradella che mi portava a scuola. I compiti quasi fatti, l’immagine di un maestro sorridente, sempre pronto ad accogliermi, ad aiutarmi a capire i miei errori, fermo ma cordiale, e a correggermi; i miei compagni, con i quali il gioco, sotto il suo occhio vigile, non usciva mai dai ranghi, nonostante l’esuberante vivacità dell’età giovanile; ero felice, mi sentivo parte di una realtà alla quale non solo appartenevo, ma contribuivo, a differenza dello stare in famiglia, a portare avanti, col mio piccolo lavoro insieme agli altri, qualcosa di indefinito, ma che sentivo mio: crescevo, cosciente di essere un tassello di una realtà comune, e ne ero orgoglioso.

Ore 6! la sveglia, impietosa e brutale, mi richiama alla realtà, come ogni giorno. Ho ancora, negli occhi, le immagini del sogno, ma devo correre: abluzioni, caffè, cravatta e cartella (di mia figlia), chiavi, auto, strada … ma il sogno rimane, lì, tra il palato e la gola, mentre mi districo nel traffico, mentre mia figlia mi parla di problemi, con insegnanti diversi, anonimi, troppo spesso assenti, di lezioni incomprensibili e noiose, di incomprensibili rituali, senza né valore né interesse, e mi chiede spiegazioni: “papà, ma la scuola a che serve?”; che gli dico? Che così non serve proprio a niente, dove addirittura non sia nociva? Che facciamo salti mortali, io e la mamma, a darle un’immagine positiva, e a rintuzzare i danni e le immagini distorte che ogni giorno assorbe da persone demotivate e incompetenti? Dai media prezzolati e asserviti al potere? Che difendiamo un’istituzione che non ha più un briciolo del suo valore originale? Che oggi più che mai conoscere vuol dire vivere da uomini liberi, e non finire, come schiavi, ad una catena di montaggio, a lavorare per un altro per un tozzo di pane? Mentre giornali, governo, tivù parlano solo di catastrofi dipingendo di nero il suo futuro? Intanto il sogno mi insegue! Ma i sogni se li porta l’alba e se questo persiste forse un sogno non è! Rallento l’andatura, l’occhio è sulla strada, ma il cuore è altrove. Le rispondo:

“La scuola serve a far crescere il bambino, dandogli quello che la famiglia non gli può dare: la coscienza delle sue radici, che trova nello studio delle scienze e della storia, e la coscienza dei suoi limiti, che trova nel rapporto con se stesso e con gli altri; il bambino, chiuso in se stesso, pensa dapprima di essere unico e perfetto, e si compiace di sé, rifiutando il mondo esterno, se non per quello che gli piace e gli serve; con la scuola impara che esiste un passato, che gli ha consentito di essere quello che è, e un contesto sociale, i compagni, che gli consente di capire che c’è altra gente oltre lui, che la pensa diversamente da lui, che il suo pensiero non è assoluto, ma relativo, e imperfetto, e che il pensiero, diverso, degli altri, completa e arricchisce il suo!”

Non mi sono limitato a parole e concetti semplici, ma voglio che mia figlia faccia uno sforzo per capire, e lei ce la mette tutta; stringe le palpebre intorno agli occhi, e le mani, grugnisce tesa nello sforzo di assorbire quei concetti troppo impegnativi, ma non vuole sentirsi esclusa dal mondo dei grandi, che cerca di capire, poi esclama: “Ho capito! Lo dirò anche a Francesco, e a Nicola, che mi dicono sempre che è inutile stare in classe, e che è meglio giocare, e lo dirò a Paolo, che sta sempre zitto, in un angolo, che deve parlare per farmi sapere che pensa, e a Rosi, e a Clara, e Mati, che stanno sempre insieme e criticano le altre …” poi, dopo un attimo di silenziosa riflessione, alza gli occhi e mi guarda continuando: “ … e se lo dicessi anche a maestra Giulia? Lei potrebbe essere più chiara di me e spiegarlo meglio a tutta la classe!” altro attimo di riflessione, poi continua: “a maestra Francesca no! Lei dice sempre che è precaria e che viene solo per controllare che non ci facciamo male, e parla solo con Carola che è down, trattandola come una scema; ma Carola non è una scema, vuole solo tanto affetto e con me parla sempre, e fa bellissimi segni con le mani, e bellissimi sorrisi  …” la vedo sognare, nel suo rapporto personale con la piccola Carola, e mi distendo, ma non dura: “ … papà, ma i politici cosa pensano della scuola? Te ne sento parlare sempre così male, con la mamma …” ahia! Ho glissato con eleganza il primo ostacolo, stamattina, e ne sono contento, ma non intendo cimentarmi a bruciapelo sul secondo: “cara, siamo quasi arrivati a scuola, che ne dici se di questo parliamo domani? Ci vediamo a pranzo, e, mi raccomando, salutami maestra Giulia, se c’è, oggi, ma non le raccontare delle nostre chiacchiere; sai com’è, potrebbe pensare che la vogliamo criticare …”

Siamo al portone della scuola, per fortuna, e la piccola scende dall’auto e io tiro un respiro; il sogno riappare prepotente, ed ora forse ho capito il perché: criticare non serve a niente, e a nessuno: questa scuola è ormai l’ombra dell’istituzione che è stata, e che avrebbe dovuto diventare, nel tempo, in Italia, nel pensiero di chi la volle pubblica e obbligatoria; ma la situazione catastrofica a cui è arrivata, per una volontà ignorante e perversa, non è, e non deve essere irreversibile! L’insegnamento è una missione, non un impegno per burocrati, e tale deve tornare! Sapete che vi dico? Ora chiamo Renzi! “ehi ciao Matteo, sai che ho pensato?” “no! Dimmi Antonio …” “Matteo, ‘scolta, io rifarei la scuola, in Italia, e la riporterei ai fasti cui la immaginarono i padri fondatori della Repubblica! Sai che botto!” “ma dai, Antonio, l’è davvero una bella idea! Sono d’accordo, ma in Europa? Come la mettiamo?” “eh, Matteo, in Europa si riabituino a far di conto co’ nostri geni!” “e va bene, Antonio, ma, codesti geni, mica li si manda a lavorare all’estero, no? Codesti ce li si tiene in casa!” “Ovvio, Matteo! Sapevo che mi avresti capito!” “sì, guarda Antonio, l’è fatta! Fine mese, massimo primi di luglio, s’avvia anche la scuola riformata; senti piuttosto, ma non è che tu, e codesta associazione, mi dareste aiuto?” … cosa pensate che gli rispondessi?

I sogni, amici cari, indicano la via, il lavoro, quotidiano, la realizza.

Il Portavoce nazionale, Antonio Lufrano.agr2

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